Ritenzione idrica post parto e non solo..

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Ritenzione idrica post parto e non solo..

Questo articolo è nato per rispondere a tutte quelle mamme che durante o dopo la gravidanza si ritrovano gambe gonfie, ritenzione idrica e senso di pesantezza, tanto che spesso sono portate a ricorrere a massaggi, cure, cambiamenti alimentari e talvolta addirittura a presidi farmacologici. Ma vedremo che può interessare chiunque soffra di questo tipo di disturbo.

Le possibili cause della ritenzione sono svariate; si parla di compressione dei vasi linfatici e venosi che compromettono il ritorno dei liquidi, di alterazioni ormonali e metaboliche dovute alla gravidanza, di prolungata posizione eretta e altre simili.

Purtroppo non si identifica una reale causa che provi il 100% dei casi, così nemmeno una terapia sempre efficace, per due motivi:

  1. Non c’è una correlazione certa nella totalità dei casi sulle cause: possono soffrire di ritenzione idrica anche i cardiopatici, le casalinghe, addirittura molte donne sportive o ragazze giovani che non hanno mai sostenuto gravidanze.
  2. Le variabili individuali sono troppe e difficilmente quantificabili, anche piuttosto vaghe per poter stabilire una correlazione certa (stile di vita, attività sportiva, alimentazione, apporto di liquidi ecc…).

Tra queste variabili, tuttavia, raramente viene inserita quella che al giorno d’oggi è considerata forse la più importante: lo stato emozionale.

Le scienze moderne, dalla PNEI, alle Leggi Biologiche, alla Psicosomatica, alla bioenergetica e molte altre, ritengono ormai senza più dubbio, che esista una correlazione tangibile tra vissuti emozionali e reazioni a livello fisico. L’interdipendenza corpo-mente- spirito è qualcosa che possiamo verificare quotidianamente nella nostra vita: se stiamo bene con noi stessi e con l’ambiente intorno a noi, anche il nostro corpo sta bene.

Per quanto riguarda la ritenzione idrica alcune teorie legate alla psicosomatica trovano spiegazione di tale condizione nella risposta biologica del nostro organismo ad una situazione di isolamento che viene definita “conflitto del profugo”.

Con questa definizione si  intende la necessità di trattenere liquidi per resistere ad  una condizione di rischio per la propria sopravvivenza, esattamente come fa un pesce quando viene spinto sulla riva ed è costretto a trattenere liquidi in attesa della successiva marea.

Le nostre origini biologiche (ci formiamo e cresciamo in ambiente acquatico) hanno lasciato memoria di questo comportamento nel nostro inconscio che attiva questo programma nelle situazioni in cui ci sentiamo fuori posto, in una situazione nuova o in un ambiente estraneo, lontano dal nostro abituale. La cosa si estende a condizioni in cui ci sentiamo soli o abbandonati a noi stessi o in pericolo di vita.

E’ chiaro che entriamo e usciamo dalla condizione di profugo svariate volte nel corso della vita, anche nel corso della stessa giornata: un lavoro nuovo,  preparativi per un viaggio, una notizia inaspettata, la difficoltà di una scelta… sono tutte circostanze che ci infondono un senso di spaesamento, quasi fossimo soli con il nostro problema. Una condizione normale per l’essere umano. Il problema insorge quando la condizione permane per periodi troppo prolungati nel tempo.

Nel nostro caso particolare, può succedere che una donna viva la gravidanza o la nascita del figlio come una condizione totalmente nuova e per questo, per una reazione naturale di fronte alla novità, spaventosa. Oppure può essere vissuta come uno stato di emergenza perché ci si sente, in fin fine, sole di fronte a questa situazione; o perché si ha la sensazione di non essere comprese del tutto dal partner (che del resto, essendo uomo, non può provare le stesse cose e quindi comprenderle a pieno, è naturale); o perché è tutto così nuovo che si sente un pesce fuor d’acqua. In ognuno di questi casi comunque, il programma speciale di sopravvivenza si attiva e la ritenzione idrica inizia a manifestarsi.

Per risolvere il problema è utile prendere consapevolezza della situazione ed elaborare il sentito emozionale collegato. Ciò può essere fatto utilizzando tecniche quali la ripetizione di alcune affermazioni, meditazioni che avvicinino a se stesse con amore, rielaborare il sentito parlando con il partner o utilizzare uno strumento che io amo molto:  la scrittura di lettere.

Scrivere delle lettere a se stessi è un modo profondo e personale per fare chiarezza su ciò che succede dentro di sè e permette di liberare uno spazio interiore portando all’esterno ciò che continua a turbare l’emotività. E sopratutto aiuta a rielaborare con se stessi, perchè la maggior parte delle risposte e dell’aiuto che cerchiamo è già dentro di noi, a nostra disposizione, ma sepolto sotto troppi pensieri ed emozioni disturbanti.

Accanto a questo lavoro profondo è comunque utile sottoporsi a sedute di linfodrenaggio manuale per aiutare la liberazione dei vasi linfatici e utilizzare oli essenziali adatti (come una miscela di olio di cipresso, melissa, limone e menta piperita) da applicare nelle stazioni linfonodali principali (clavicola, inguine, cavo  popliteo). Il tutto accompagnato da una scorta di arancione, colore associato alle emozioni, ai reni, ai liquidi del corpo, alla capacità di affrontare il cambiamento e di ascoltare gioie e dolori del nostro Bambino Interiore. Quindi via libera a cibi arancioni, acqua solarizzata arancione, vestiti, trucchi, asciugamani, braccialetti e tanti pensieri gioiosi arancioni!

L’emozione è l’energia più potente di cui disponiamo!

Lucia Primo
Lucia Primo
Sono una fisioterapista per il corpo e l'anima. Ti accompagno alla consapevolezza del tuo corpo attraverso l'ascolto la meditazione e il meraviglioso mondo del colore.

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